La smania di pubblicare, chi può davvero definirsi scrittore?


Oggi stavo cazzeggiando sui social (eh sì, ogni tanto capita, per quanto mi riguarda troppo spesso di recente, ammetterlo mi costa pure un po') e mi sono imbattuta in questa frase: "più un verso è scritto con amore più lo stesso sarà recepito con la medesima intensità". Mi ha colpita e mi fatto riflettere. Allora mi sono seduta e ho provato a tornare indietro, al giorno in cui ho capito che volevo trasformare le storie che avevo nella testa in pagine da condividere con altre persone.
E mi sono chiesta, l'ho fatto con amore? Credo di sì. L'ho fatto per guadagnare? Immagino di no, perché altrimenti a questo punto avrei già lasciato perdere.
Credo che chiunque senta il desiderio di pubblicare una propria opera in principio venga toccato dall'idea di farci anche un bel gruzzoletto, ma tale brama, salvo rari casi, scema in fretta. Sono in pochi quelli che possono dire di vivere scrivendo. Io di sicuro non rientro tra questi.
Sono invece tanti quelli che s'improvvisano "scrittori" (e lo dichiarano prima ancora di aver deciso il titolo del futuro capolavoro letterario), pubblicano un romanzo, magari due, non vendono le migliaia di copie che erano certi di vendere, e allora mollano, spariscono, evaporano. Però attenzione, ahimè in molti casi non prima di aver gettato litri di veleno sugli "altri", quelli che "sono primi in classifica e non si sa il perché, è di certo un complotto, altrimenti non si spiega come mai il mio libro stupendo e magnifico scritto in due mesi e con l'editing meticoloso di mio cugggino non rientri nella cinquina dei finalisti ai premi nazionali..." Questi sono gli stessi che magari dopo poco tempo risorgono con uno pseudonimo... ma fatemi il piacere!

Comunque, dicevo, ho sempre fatto fatica a definirmi "scrittrice" con la S maiuscola, perché non è il mio lavoro, non ci pago l'affitto e le vacanze, forse la spesa e qualche bolletta, ma non è la mia fonte di reddito primaria. Pertanto non mi sento tale. Probabile che ci sia anche una sorta di reverenza nei confronti di chi invece ha pubblicato opere di livello, conosciute in tutto il mondo, veri pezzi d'arte su carta i cui versi dopo anni e anni riecheggiano ancora.
A ogni modo, se mi chiedono "che lavoro fai?" di certo non rispondo "la scrittrice".

Ho la "smania di pubblicare"? No, non credo nemmeno quella. Ho tirato fuori cinque libri in otto anni, direi che i miei tempi non sono da "giro veloce in pista". Scrivo, leggo, rileggo, modifico, cambio, taglio, aggiungo, sposto, verifico... faccio impazzire il mio editor... E poi le ricerche, oddio, ci esco pazza... Okay, fermi, rischio di  divagare, torniamo al concetto iniziale. Ai versi che vengono recepiti dal lettore con la medesima intensità d'amore con cui sono stati scritti. E' proprio sempre così?

Ecco quindi che la mia riflessione scivola su sentieri impervi. Per quale motivo ho iniziato a scrivere e soprattutto perché continuo a farlo? Le sensazioni che provo oggi sono le medesime del mio primo romanzo? Non che ne abbia pubblicati a decine, di certo meno di quelli che ho nella testa. Il tempo, maledetto. Manca sempre. E' troppo poco. Sfugge.

Dopo qualche minuto di occhi a palla e sguardo perso verso l'infinito del mio soffitto, mi sono data questa risposta: ho iniziato a scrivere perché mettere nero su bianco le storie che prendono forma nella mia mente mi permette di sperimentare più vite contemporaneamente, la mia e quella immaginifica dei miei personaggi. A loro ho fatto provare emozioni che magari avrei desiderato provare io, li ho fatti amare come auguro a tutti di riuscire ad amare, li ho fatti anche soffrire, ma dalla loro sofferenza sono sempre rinati, magari migliori, più consapevoli, più forti. Sono cresciuta insieme a loro, ho tirato fuori particolari del mio carattere che non conoscevo, li ho aiutati ad andare incontro al lieto fine e nello stesso tempo loro hanno aiutato me a superare i colpi duri, quelli reali, che s'incontrano quotidianamente.

Invece, la risposta che faccio fatica a darmi riguarda il perché continuo a scrivere. Forse è solo un desiderio irrefrenabile, un'aspirazione, una sete... Però di una cosa sono certa, continuerei a farlo anche se, per assurdo, l'editoria morisse, se non si potesse più pubblicare, se le piattaforme online sparissero insieme ai milioni e milioni di ebook che popolano il mercato digitale. Io continuerei a scrivere anche se non esistessero più la carta, e insieme a questa libri e librerie. Sarebbe una disgrazia, non avere più libri intendo, però io continuerei imperterrita. E anche in quel caso non mi reputerei una scrittrice.
Lo farei per me, per il bisogno che sento di condividere, prima di tutto con me stessa. Perché ogni nuova pagina è un pezzo di Rebel che viene alla luce.

Allora forse è questa la mia reale motivazione, insieme alla speranza che l'amore con cui scrivo venga colto da chi sceglie di leggermi. Finché potrà. Finché vorrà. Non è male, vero?

Ma la domanda che invece non trova risposta resta, e con questa ora vi lascio.

Chi può davvero definirsi scrittore?

#MuchLove

Jo

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